I genitori di Paciolla: «Chi sa e lavorava con lui parli, nostro figlio lo avrebbe fatto»
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Intervista. 8 mesi fa la morte violenta di Mario mentre prestava servizio in una missione Onu, Anna Motta e Pino Paciolla, che hanno trasformato un caso sbrigativamente classificato come suicidio nella denuncia internazionale delle troppe omertà, raccontano la loro ricerca della verità. «Aveva appena preso un biglietto per l'Italia. Era preoccupato, voleva scappare... Forse ha visto cose non in linea con la sua integrità morale e questo crediamo gli sia stato fatale»
Anna Motta e Pino Paciolla sono i genitori di Mario Paciolla, il lavoratore della Missione di verifica delle Nazioni unite morto in Colombia il 15 luglio scorso. Grazie alla loro tenacia il caso, che è stato sbrigativamente classificato come suicidio, è diventato una denuncia internazionale che chiama in causa le responsabilità delle Nazioni unite e chiede di fare chiarezza sulle dinamiche della morte violenta di Mario. Abbiamo chiesto ad Anna e a Pino di raccontarci questi otto mesi di silenzi e la loro ricerca di verità e giustizia.
A che punto sono le indagini giudiziarie in corso da entrambi i lati dell’oceano?
Dopo otto mesi purtroppo nulla di concreto ci è giunto sull’operato delle autorità colombiane. Sappiamo, attraverso i nostri avvocati, che la Fiscalia si rende disponibile e collaborativa con la procura italiana nell’invio di documentazione utile all’indagine. Sappiamo che sono tre i procuratori italiani che si occupano del caso di nostro figlio, ci auguriamo che presto si possa giungere a qualche verità. Sappiamo di essere in percorsi lunghi e tortuosi, tra l’altro più complicati dalla pandemia mondiale, avremo però la perseveranza e non ci stancheremo mai di chiedere e di sapere esattamente ciò che è successo negli ultimi cinque giorni della vita di Mario.
Le istituzioni italiane, che si sono esposte in prima persona all’indomani della morte di Mario, stanno lavorando per questo? Sono in costante contatto con voi?
Dopo l’interessamento nei giorni successivi alla morte di nostro figlio, non sappiamo quali percorsi siano stati intrapresi dalle nostre istituzioni per sostenere le indagini, non sono in contatto con noi. Qualche giorno fa il senatore colombiano Barreras in un’intervista ha raccontato la sua verità, che potrebbe avere delle relazioni con la morte di Mario, ma per noi la verità va ricercata all’interno della squadra in cui lavorava nostro figlio, noi la verità la vogliamo dall’Onu, il suo datore di lavoro e quindi quantomeno civilmente responsabile della sua morte. Qualche tempo fa il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, intervistato da Fazio a Che tempo che fa, ha assicurato che le istituzioni si stavano adoperando per fare verità sul caso Paciolla, senza però scendere nei dettagli.
Che relazione avete avuto con l’Onu dal 15 luglio 2020 ad oggi? Vi siete sentiti accompagnati in questo lutto dall’organizzazione per cui vostro figlio lavorava? Avete notizie dell’indagine interna che l’Onu porta avanti?
Non ci siamo sentiti supportati assolutamente dall’Onu, dopo quel tragico giorno del 15 luglio scorso quando, nel corso di una telefonata, ci hanno informato in pochi secondi della morte di Mario, delle modalità, (senza nessuna certezza!), chiedendoci se eravamo interessati a riavere la salma, senza un briciolo di umanità nei confronti di due genitori che attendevano a giorni il ritorno a casa del loro figlio. Abbiamo preferito incaricare i nostri avvocati di eventuali contatti con l’organizzazione. Ci è stato riferito che comunque non sono stati collaborativi. Noi non abbiamo nessuna notizia della loro indagine interna.
Avete la certezza che Mario Paciolla non si sia suicidato, che idea vi siete fatti dunque sulla sua morte?
Abbiamo la certezza che Mario non si sia suicidato per ciò che ci siamo detti nelle ore precedenti alla sua morte. Sappiamo che nostro figlio era una persona intelligente, con un acume non comune, pertanto pensiamo che può essere stato testimone di avvenimenti da lui non condivisi, non in linea con la sua integrità morale e che questo abbia decretato la sua morte. A dicembre 2019 quando ripartì l’ultima volta per la Colombia ci confidò che se l’Onu avesse voluto «tirarlo dentro» lui li avrebbe abbandonati. Non so cosa volesse dirci ma col senno di poi immaginiamo che lui avesse già capito qualcosa che non andava, testimonianza anche il fatto che più volte aveva chiesto di cambiare missione e squadra e mai era stato accontentato su questo.
A cosa vi riferite quando invitate «le tante persone che lo hanno conosciuto ad abbandonare le reticenze e l’omertà»?
Partiamo dal presupposto che nostro figlio non fosse l’unico che lavorava con coscienza e onestà, pertanto ci appelliamo a persone come lui che lavorano con gli stessi obiettivi con la stessa integrità morale e che si dichiaravano amici di Mario, di parlare, di riferire ciò che hanno visto e capito, a cosa hanno assistito nei giorni precedenti alla sua morte. Portarsi dentro il macigno di una verità nascosta non fa bene alla propria vita, quindi ci auguriamo che queste persone, una volta al sicuro, possano collaborare alla ricerca della verità. Siamo certi che Mario avrebbe fatto lo stesso per ognuno di loro. Nostro figlio è stato ucciso poche ore dopo aver comprato un biglietto aereo per l’Italia. Era preoccupato voleva scappare dalla Colombia, a un amico ha confidato che mai più sarebbe tornato a lavorare in Colombia e tantomeno con l’Onu.
Simone Scaffidi, Giampaolo Contestabile
Fonte: Il Manifesto